Vivian Maier: che cosa ci insegna la sua storia

Vivian Maier (1926-2009) è stata una fotografa statunitense diventata nota solo nel 2007, cioè due anni prima della sua scomparsa, grazie ad una di quelle storie tipicamente americane alla “Affari al buio”.
Un giovane infatti acquistò all’asta un box pieno di oggetti espropriati ad una donna che non riusciva più a pagare l’affitto. Il giovane, con grande sorpresa, si trovò tra le mani tantissimi negativi e pellicole non sviluppate che erano lì da tanti anni, il tutto mischiato a vestiti ed altri oggetti di poco valore.
Il giovane fece sviluppare i rullini e pubblicò le foto sul social media Flickr, e visto il successo decise di compiere alcune ricerche sulla ex proprietaria di quel materiale.
Si trattava proprio di Vivian Maier, una bambinaia di Chicago che nel tempo libero si dilettava come street photographer in varie città degli Stati Uniti, “armata” della sua biottica Rolleiflex che vediamo spesso nei suoi autoritratti.
Purtroppo dopo che erano partite le ricerche sul suo conto, Maier ebbe un incidente nel 2008, da cui non si riprese e pertanto ella non seppe mai nulla di questo ritrovamento.
Su Vivian Maier è stato poi scritto tanto e sono state organizzate varie mostre delle sue opere. A tutti gli effetti, è stata una bravissima street photographer prima ancora che questo genere prendesse piede e, il fatto che lei fosse donna, in un mondo – quello dei fotografi – prevalentemente maschile, rende ancora più preziosa la sua storia.
Una storia da cui secondo me si possono trarre insegnamenti utili.
L’importanza dell’archivio
Vivian Maier non ci ha lasciato una sua opera, ma solo negativi e pellicole sparse non sviluppate. Tutto il materiale che è stato mostrato in giro è frutto di una selezione non sua, ma di chi è venuto dopo di lei. È come se un autore scrivesse delle bozze e poi, dopo la sua morte, qualcun altro, coi propri gusti e la propria storia, le rimettesse insieme senza chiedersi: perché l’autore non è andato avanti? Perché non ha pubblicato questo materiale? Come lo avrebbe finalizzato? Che cosa avrebbe tenuto? Che cosa avrebbe scartato?
Sicuramente non basta dire che “erano belle foto”, perché l’opera di un autore va molto aldilà della bellezza, concetto che oltretutto applichiamo oggi su foto di 50 anni fa.
Chi si diletta con la fotografia, dovrebbe sempre tenere un proprio archivio e soprattutto una propria selezione, magari indicando esplicitamente gli scarti. Questo accadeva naturalmente con la pellicola, soprattutto se il fotografo stampava direttamente i propri scatti migliori, li marchiava nei provini a contatto e/o collaborava con uno stampatore (vedi Ghirri). Tutto questo ancora viene fatto dai fotografi a pellicola e può essere fatto anche da quelli digitali.
Il consiglio è di creare, anche a costo zero, delle pubblicazioni digitali delle proprie foto organizzate secondo una tassonomia che rispecchi le intenzioni dell’autore.
Perché fotografare?
Nell’era in cui pubblichiamo le nostre foto direttamente sui social, Vivian Maier ci ricorda che fotografare può essere un atto anche molto intimo, che dedichiamo a noi stessi. Per alcuni è una meditazione, per altri la ricerca della bellezza, per altri ancora una fuga dal tran-tran quotidiano, un piccolo rifugio in cui troviamo una nostra dimensione, che non è quella dei mille problemi altrui che siamo chiamati a risolvere e che ci intossicano l’esistenza.
Vivian Maier non fotografava per i like e per i follower, insomma non lo faceva per rincorrere il giudizio degli altri come si fa spesso oggi, creando moltitudini di fotografi (e non solo) insoddisfatti. Si può fotografare solo per se stessi e avere molto godimento da questa attività; oppure lo si può fare anche immaginando una pubblicazione, ma di certo non sostituendo l’idea con le dinamiche frenetiche, evanescenti, superficiali e destrutturate dei social network.
Il fascino della pellicola
Sicuramente una foto digitale immagazzinata in più server localizzati in giro per il mondo ha meno probabilità di essere perduta rispetto ad un fragile negativo. Tuttavia tra la teoria e la pratica c’è molta differenza. Quando passiamo a miglior vita, quando perdiamo una password o veniamo tagliati fuori da un account, quando un servizio chiude i battenti mentre noi pensiamo ad altro o anche quando il nostro hard disk si rompe, una scheda SD si cancella, o diveniamo vittime di un ransomware, le probabilità di perdere definitivamente le nostre foto sale esponenzialmente.
Gli scatti di Vivian Maier, dopo decenni, sono ancora lì, da guardare. Addirittura molti di questi scatti non erano stati nemmeno sviluppati al momento del ritrovamento, ma erano soli immagini latenti impresse nella pellicola, cioè poche molecole di argento metallico formatesi al momento del contatto con la luce, che per decenni sono state lì ad attendere che una soluzione chimica le facesse moltiplicare per trasformarle in immagini.
Una seria riflessione va dunque fatta sulla memoria che stiamo costruendo, chiedendoci come fare per assicurarci che i nostri scatti migliori possano durare nel tempo.
Se sei interessato a conoscere di più su questa talentuosa fotografa, ti consiglio alcuni libri a lei dedicati:
Ciao 🙂
Una persona interessante che non conoschevo. Grazie per il testo.