“Le fotografie del silenzio” di Gigliola Foschi
Chi è appassionato di fotografia si troverà prima o poi a passeggiare tra gli scaffali di una qualche libreria, alla ricerca di un manuale o di un testo che solletichi la nostra ispirazione. Tra i bellissimi libri di fotografia, con copertine sgargianti e rilegati in formati generosi, a volte si scorge un libretto dall’aspetto anonimo, senza foto e con un titolo un po’ enigmatico. “Perché rischiare di acquistare un libro che rischia di parlare più di filosofia che di foto?” magari pensiamo tra noi. Certamente i manuali pratici sono utili, ma a volte è utile “rischiare”, perché si può incappare in un piccola chicca come il libro di Gigliola Foschi intitolato “Le Fotografie del silenzio – Forme inquiete del vedere” ed edito da MIMESIS nel 2015.
La sinestesia presente nel titolo costituisce il fil rouge che unisce i tre brevi capitoli in cui si analizzano, da altrettanti punti di vista, il complicato rapporto tra fotografia, media, mass-media, fotografo e pubblico. Usando le categorie del rumore e del silenzio, l’autrice pone una serie riflessioni decisamente pertinenti e di sicuro interesse per chi si occupa in qualche modo di questa disciplina.
Scheda del libro
Nel primo capitolo troviamo una interessante introduzione su come è cambiata la percezione della fotografia dai tempi della sua ideazione fino ai giorni nostri. Si esplora poi il rapporto tra fotografia e medium su cui viene rappresentata, oggigiorno reso critico dalle nuove tecnologie che spostano sempre di più le visualizzazioni in contesti sfuggenti e usando piccoli display. Si esplorano le conseguenze della “velocità del consumo” delle immagini da parte degli osservatori, ai quali si sottopongono sempre più spesso immagini didascaliche e scelte da librerie “stock”. Qual è l’impatto di queste scelte sulla comunicazione? In che modo i giornali e i siti di notizie selezionano e ritoccano le foto? Con quali finalità? Ecco alcune domande a cui l’autrice risponde aprendo uno spaccato sul mondo dell’informazione che oggi, con la sua pervasività, contribuisce a creare un rumore di fondo in cui la mediocrità, forte dei suoi numeri, sommerge quelle immagini che invece potrebbero comunicarci qualcosa.
Nel secondo capitolo si passa al rapporto tra l’immagine fotografica e lo spettatore. Proprio qui c’è una ricchisisma serie di rimandi ad opere realizzate da fotografi che in un qualche modo hanno deciso di sfidare lo status quo, descritto nel primo capitolo, mettendo in moto una creatività che definirei non solo interessante, ma istruttiva.
Il terzo capitolo è incentrato sulla fotografia intesa come “l’attività del fotografare”, che in certi casi, anche insospettabili, è fatta di meditazione, attesa, contemplazione e dunque silenzio. In questo caso la fotografia ci consente di aprirci a nuove dimensioni, diventando anche una sorta di terapia ed esercizio che va a beneficio di chi lo sa compiere.
Recensione
Si tratta di un libro brevissimo, che in appena 50 pagine è capace di informare, stimolare riflessioni e soprattutto dare tante idee, anche pratiche, soprattutto per chi vuole lavorare sulla propria creatività.
In generale consiglierei la lettura di questo libro anche solo per la capacità di farci intravedere qualche interessante meccanismo relativo ai criteri con cui i mass media scelgono le foto, giocando con la nostra pigrizia cognitiva.
Altrettanto interessante è la riflessione sul modo con cui oggi si “consumano” le fotografie, magari osservandole in fretta sullo smartphone nei momenti di noia. Quanto si legge nel libro su questo tema è utile tanto al fotografo, quanto all’osservatore. Il primo deve ridimensionare le aspettative sulla capacità dei social di veicolare messaggi con le foto. Il secondo, d’altro canto, deve interrogarsi sulla distinzione che c’è tra “vedere” e “osservare”, su quanto la scelta di una immagine sia importante per spegnere o accendere le nostre facoltà critiche, su quale sia il modo migliore di fruire di questo tipo di arte.
Ora, questo è un blog di fotografia dove hobbisti e aspiranti fotografi cercano consigli sulla tecnica o comunque indicazioni di tipo pratico. Quello che davvero ho trovato di grandissima utilità è la quantità generosa di riferimenti alle opere. Qui il libro diventa una miniera di nomi da cercare su Internet per trovare quei fotografi che nello sfidare lo status quo hanno elaborato una creatività da cui prendere spunto. Certamente non si tratta di copiare le idee, ma trovare quella molla che dà un senso al nostro fotografare e al nostro pubblicare. Ecco allora che un libro che non ha neanche una immagine può diventare una risorsa tanto preziosa quanto pratica per il fotografo in perenne ricerca di ispirazione.
Conclusioni
“Le fotografie del silenzio” è una lettura breve ma densa, che richiede un alto livello di attenzione per poco tempo. È anche la dimostrazione che si possono dire tante cose senza usare paginazioni enormi per trasmettere “spessore”. Si tratta quindi di un libro da leggere dunque “armati” di matita e block notes, perché una volta terminato sarà necessario andare a scoprire le gemme racchiuse nelle sue varie citazioni. Si tratta di un libro che di certo fa riflettere proponendo un pensiero, ma che allo stesso tempo riesce scatenare la creatività in modo pratico. A tal proposito cito un aneddoto: cercando con Google siamo tutti in grado di trovare l’analisi completa delle foto di Henri Cartier-Bresson. Questo però non ci spiega come egli ottenesse quelle immagini. Nel terzo capitolo del libro c’è un aneddoto sul suo modo di fotografare che farà molto riflettere gli street photographer, e che personalmente ho trovato davvero interessante.
0 commenti