Fotoritocco e postproduzione delle foto: questione di etica?

Il titolo del post è un pò polemico, ma è un sassolino nella scarpa che mi volevo togliere e condividere con voi.
Mi è capitato spesso durante alcune chiacchierate con altri appassionati di foto di sentire affermazioni del tipo: “a me non piace fare la post produzione delle foto” oppure “eh sì, ma le mie foto non le ritocco con photoshop”…
Sarò sincero e schietto: ritengo che frasi di questo tipo non significhino nulla, quanto meno se intese come parametro di confronto con altri fotografi.
Tutta la questione si tinge in questi casi di tinte filosofiche, quasi come se la post produzione delle foto scattate fosse “barare” mentre lasciare le foto completamente inalterate fosse politically correct.
Questo genere di pensiero secondo il mio parere assume un senso solamente se inteso come sfida personale: scattare immagini che non abbiano bisogno di crop (ritagli) o di raddrizzamenti delle linee, variazioni della composizione, o correzioni di questo genere, mentre come umarchio distintivo dei fotografi vintage mi sembra poco sensato.
Credo che oggi come 30 anni fa il bravo fotografo sia una figura in grado di lavorare al meglio con la reflex sul campo e allo stesso tempo sfruttare le sue capacità di post produzione (ovviamente lasciando perdere le regolazioni automatiche dei vari programmi) per esprimere al meglio quello che il suo occhio ha visto al momento dello scatto. Che sia una camera oscura o Lightroom poco importa.
Pensate infatti che chiunque utilizza una reflex ha una serie di valide motivazioni per utilizzare il formato raw, che per definizione richiede di applicare un’interpretazione dei dati “puri” raccolti dal sensore in una fase successiva a quella in cui si scatta, fase detta appunto di post produzione (in senso lato). In questa fase si andrà semplicemente a sviluppare (è proprio il termine giusto) il negativo digitale agendo su contrasti, livelli di luci e ombre, e altre correzioni di questo genere, necessarie per valorizzare al meglio la foto scattata.
Questa metodologia poi ricorda da vicino quello che si faceva prima dell’epoca delle reflex digitali, in cui si sviluppavano i negativi in camera oscura, e si riusciva ad effettuare una vera e propria post elaborazione agendo su vari parametri quali la densità di acido per litro d’acqua, la temperatura, il tempo di immersione, la tipologia di agente chimico utilizzato.
Nella foto dell’articolo, si vede il maestro Ansel Adams davanti a due scatti uguali e diversi allo stesso tempo: quello a sinistra di chi guarda è il risultato ottenuto con uno sviluppo “neutrale” del negativo della foto, quello a destra (più scuro e celebre) è invece stato post prodotto in modo stupefacente in camera oscura. La foto si chiama “Moonrise”, ed è stata stampata alla fine degli anni ’70.
E tu che ne pensi di questo argomento? Dicci la tua opinione!
Grazie per aver letto l’articolo, se l’hai trovato interessante, condividilo con i tuoi amici o clicca su mi piace!
Lightroom significa letteralmente "Camera Chiara".. e penso che la dica lunga sull'analogia tra post produzione di oggi e camera oscura di ieri.
Nel sistema ''analogico'' si doveva sviluppare la pellicola e poi procedere alla stampa. In entrambe le fasi era possibile intervenire per risultati finali diversi. Ma finita la prima fase non si poteva tornare indietro. Nel sistema ''digitale'' un file Raw e' sempre modificabile e ripristinabile come in origine. Poi si passa alla stampa. Il sistema ''digitale'' consente degli interventi anche radicali un tempo neanche immaginabili per un professionista. Fotografo e' chi scrive con la luce e non necessariamente deve riprodurre fedelmente cio' che esiste nella realta'. Un esempio pratico e' la foto notturna di una fontana con diaframma chiuso e tempi di esposizione lunghi: immagine che l'occhio e il cervello umano non possono ''vedere'' ma che puo' ''emozionare'' chi la guarda. In fondo, quale e' lo scopo di un fotografo se non suscitare delle emozioni ?
mi trovi d'accordo!
Sono completamente d'accordo. A patto però che si evitino artificiose modifiche che rendano tra virgolette "finte" alcune foto. Fin quando si tratta di rendere una determinata atmosfera il più possibile affine a quello che il sensore della nostra fotocamera non è riuscito a captare ci sto, ma di qui a sorpassare quel limite credo che significhi in qualche modo far perdere valore alla foto. In realtà la questione è abbastanza complessa e non sono in grado di poter dire con certezza quale sia questo limite 😀
Non si vede mica il link…. riesci a ripostarlo per favore? grazie!
Qua c'è un buon tutorial. Tra l'altro in cantina io avevo, come si ricorderà bene @Francesco Morsiani , il tool per la proiezione su carta fotografica dei negativi che usava mio padre. Anzi, avevo anche della carta fotografica in bianco, che però sicuramente è andata a male.
Qualcuno mi spiega le analogie tra sviluppo di un negativo e post produzione in camera raw?
Presto pubblicheremo un articolo sulla fotografia “mobile”, restate sintonizzati!